Tingere la lana è una dipendenza, provoca
assuefazione. Diventa un chiodo fisso. Ma stasera che metto a macerare? Oggi
che si raccoglie? Appena apri gli occhi, ti butti giù dal letto e corri a
vedere il risultato del bagno di colore notturno. La sera non è mai ora di smettere,
hai voglia a ‘nzuglià. Ho passato
alcune tra le migliori serate, così. Te ne stai là, tra le pentole che
sobbollono, le matasse che si asciugano e le piante che ti aspettano. La cucina
diventa una giungla di odori e colori. È il tuo regno. Sperimenti e sei contenta.
Dopo aver tinto la lana, nel colore avanzato immergi anche altro: una
maglietta, un canovaccio,…. i capelli (ebbene sì)! Stai là a vedere che succede
al tuo colore se lo rendi acido, o basico. Bè, quelle sono vere e proprie
magie! E poi te ne vai in giro con i tuoi preziosi appunti e le mani tutte sporche
per giorni e sei così soddisfatta che sembri invasata!
Condividere l’esperienza è ovviamente un piacere, specie se
lo si fa con qualcuno che apprezza l’interesse: sensazioni tattili, visive e
olfattive, silenzi, formule e calcoli, delusioni, sorprese, stanchezza
e aspettative, intuizioni, ricerca e messa a punto… Raccogliere, poi, è già di
per sé un’attività mistica.
È quindi con gioia che sfrutterò l’invito di Valeria a
raccontare la mia esperienza di tintura sulla lana che lei mi ha fornito.
Anni fa regalai a mio fratello e a mia cognata, appena
sposi, una coperta lavorata a maglia da me e sapientemente confezionata dalle
esperte mani di chi mi insegnò l’arte dei ferri: mia madre e sua sorella, mia
zia. Un lavoro sopraffino. Le donne sono naturalmente attratte dalla lana. La
lana di quella coperta era comunissima, con percentuale sintetica, già tinta.
Quando ho conosciuto Valeria al corso di tinture naturali, l’idea è stata quasi
ovvia: lana naturale, tintura naturale, artigianato puro, una meraviglia! Il
procedimento poi sarà lo stesso: le mie più recenti antenate (madre e zia)
ultimeranno il lavoro.
In poco tempo, la visione si è fatta talmente chiara che ho
perseguito, dapprima con precauzione poi con disinvoltura, le mie intenzioni. La
tintura mi ha impegnato un paio di mesi. Quando non ero impegnata a lavoro, ero
a casa a tingere oppure in giro a procurarmi le materie prime.
Al principio fu la NOCE, con le sue profumatissime foglie. Visto
il timore dei primi passi il risultato è stato soddisfacente. Un marrone chiaro
e bello vivo.
A seguire è stata la volta del Signor IPERICO, pianta che mi
incute curiosità e rispetto. Prima delusione: mi aspettavo un bel verde e
invece salta fuori una specie di senape. Che fare? Tutto sommato era brillante
e caldo, ci piaceva. E poi, avevo 25 matasse… senape in più, senape in meno…
Quindi è stato il
turno di sua maestà Anthemis (camomilla del tintore), la reginella. Con lei non puoi sbagliare. È esattamente
come si presenta, e ciò che promette mantiene. E infatti quel giallo spicca tra
tutti: vivace, sicuro di sé, stabile, allegro.
Invidiose, le signorine Menta e Ortica, hanno iniziato a
frignare che volevano mostrarsi anche loro. Poiché ero sprovvista di misure di
riferimento, sono andata un po’ alla cieca e devo dire che quelle due non mi
hanno aiutata per niente. Dopo “soli” 8 bagni, abbiamo ottenuto, tra l’una e
l’altra pianta, due verdoni militare che, per quanto passabili, non erano il
verde che noi desideravamo.
Sapete che l’equiseto è presente sulla crosta terrestre da
milioni di anni? Non potevo non fare un tentativo per quella che sarà una
coperta ancestrale, anche perché voci di corridoio dicono che venga fuori un
bel verde, dall’equiseto. E invece no. Indovina che viene fuori? Giallino
paglierino. Ormai al verde che dicevo io ci avevo rinunciato. Il giallo
equiseto ce lo siamo tenuto e abbiamo pensato di usarlo come base per ulteriori
tinture.
Così è stata la volta della pianta esotica! Ci siamo confrontate col
karkadé. Bene: il bagno era fucsia, la lana grigia, le maledizioni a iosa.
Ma ho insistito e, dopo un altro bagno, ridotti al minimo gli sbalzi
termici, ho ottenuto un rosa chiaro, tendente al lilla, quantomeno decoroso.
Più avanti
si è sperimentato con la paprika. Lei è una tipa difficile, se ne sta lì un po’
svogliata, ti guarda, si annoia. Alquanto smorta, triste, spenta… ma io ho
avuto un’illuminazione e le ho somministrato una bella razione di rooibos…
vedessi come si è ringalluzzita! È quella arancione, nel bel mezzo degli altri
colori. [Consiglio: non usate paprika piccante. Quando andate a sciacquare vi
si mette in gola e non vi molla più! Noi altri abbiamo tossito per giorni in
casa!].

E
a questo punto entra in campo Mister Sambuco. Il sambuco è pazzo. Lo dico con
cognizione di causa, e la gamma di grigi ottenuta da Roberta, cognata di
Valeria, è una ulteriore prova della sua insanità mentale (del sambuco). Molto
probabilmente Roberta è giunta ad un grado di controllo e di maestria, che lui
non può più nulla senza il suo consenso, ma io non ci ho capito proprio niente!
Se l’è cantata e se l’è suonata, il sambuco, e ha fatto tutto da solo… o quasi…
sul finire ci ho messo del mio.
È
andata così: dapprima ho immerso una matassa giallina (da equiseto) nel bagno
di bacche di sambuco (viola denso) e l’ho lasciato in pace per una notte
intera. Il giorno dopo risciacquo e che mi esce fuori? Verde! Un verde vero! Il
verde che perseguivo da un mese! Figlio di un giallino e di un viola. Non mi
sembrava possibile, io in quel verde non ci speravo più.

Volendo reiterare
l’esaltante esperienza, reimmergo un’altra matassina giallina nel misterioso
liquido, questa volta a caldo. Risultato: bordeaux scuro….. mmmm….. Va bene, ci
sta, ne avevo bisogno, è un bel colore, inventando storie e scavalcando così a
pié pari qualsiasi tipo di sconforto, indignazione e/o imprecazione. Del resto
la pazienza è veramente un ingrediente fondamentale nella tintura. Va
salvaguardata.
Infatti
ci riprovo: altri due etti di lana giallina nel bagno di sambuco, senza fornire
calore. Il risultato questa volta è un vero e proprio disastro: chiazze
sovrapposte di giallo e di blu. La lana sembrava impazzita anche lei,
contagiata da quello psicopatico del sambuco.

Ormai però le mie tinture non
avevano più davanti una pivellina. L’esperienza mi aveva forgiata e affinata. E
il mio empirismo mi ha consigliato di aggiungere un bagno unico di verde (da
ortica) e di giallo (da curcuma) e ribollire tutto. Ed eccolo là: il mio
verdino acido, figlio del caso e della perseveranza. Insomma una contraddizione
vivente!
So
di aver provato anche la cicoria ma non mi ricordo che fine le ho fatto fare.
La
coperta è ancora in fasce, anzi è appena un embrione. Quando sarà
ultimata, sarete i primi a saperlo. Per me lavorare a maglia è una sorta di
meditazione e farlo con soli elementi naturali tra le mani mi invita ancor più
alla contemplazione. Inoltre, conoscere colei che con fatica ha prodotto ciò
che sto trasformando, mi conforta e mi rassicura.
Valeria grazie di tutto,
spero che il tuo lavoro possa proseguire sereno e pieno di frutti per te e per quanti ti sono vicini.
A presto.
Manu